
Sole, di Carlo Sironi
Un film senza sorrisi, senza luce, senza casa dove la sofferenza si somma alle dipendenze di un futuro dagli orizzonti ristretti.
Sole, questo il nome della bambina destinata ad una vita dalle molte ombre, e dalla quale prende nome il film di Carlo Sironi. Un film dove il buio, il silenzio, la tristezza diventa lo sguardo claustrofobico che il regista cerca di comunicare anche attraverso la scelta di un girato in 4/3. Una lunga sequenza di inquadrature fisse, come fissa rimane la scelta di abbandonare quel Sole che alla sua nascita, per pochi istanti, ha illuminato il mare all'esterno con deboli raggi. Un solo timido sorriso è apparso, durante il film, sul volto di Lena, quando sembrava affiorare l'idea di tenere quel piccolo Sole, ma il blackout era ormai totale e non è bastata la fioca luce di una candela, pur sostenuta dall'affetto sincero di Ermanno, a far tornare la luce desiderata.
Sironi sembra volerci dire che di fronte al disagio e la povertà non intravede speranza, la roulette della vita ti consuma se non hai il coraggio di fermarti e provare a ricominciare. Ermanno se ne rende conto, forse tardi, intuendo che solo l'amore può ridare speranza.
È il silenzio a custodire la scena, un silenzio assurdo, paradossale che descrive una vita caduta nel buio più nero. Si spegne e si accende più volte la luce nel film ma è sempre artificiale e lo spettatore resta sbigottito e si domanda perché tanta sofferenza.
Pur essendo pregevole l'interpretazione dei due giovani protagonisti, il film già dalle prime scene diventa insopportabile, come insopportabile è la scelta di vendere un figlio, vendere il sole e cadere così nel buio più nero. Il film di Sironi, in una dura ricerca cinematografica, rimane un monito all'unanimità sull'importanza della vita ma realizzato con scelte stilistiche e di regia da intenditori, difficili da comprendere e accettare da grande parte della platea ordinaria.
Recensione a cura di Francesco Da Re